Come ben sappiamo con l’arrivo della primavera giunge anche il fastidioso problema delle allergie, che sta coinvolgendo sempre più persone e, che a causa del cambiamento climatico, sembri purtroppo destinato ad aggravarsi. A tal proposito un gruppo di scienziati si è messo a lavoro su uno studio, poi pubblicato in Nature Communications, soffermandosi sulla relazione che intercorre tra il riscaldamento globale e il polline.
Un team dell’Università del Michigan, in USA, ha analizzato lo stretto legame tra il cambiamento climatico e le allergie. Nel dettaglio, gli studiosi si sono soffermati sul Nord America e su 15 specie di piante in grado di provocare nelle persone febbre da fieno. Successivamente, esaminando dati inerenti al passato, hanno realizzato dei modelli utili a captare quanto il riscaldamento globale condizionerà in futuro la formazione di polline. I test sono stati svolti in base ai livelli di CO2 e all’aumento delle temperature che tenderanno a modificare la diffusione e la crescita delle differenti specie. Dai risultati è emerso che entro il 2100 la diffusione del polline emesso dalle piante potrebbe addirittura incrementare del 40%, con la fioritura che inizierebbe 40 giorni prima e terminerebbe 19 giorni dopo.
Le temperature sempre più elevate stanno agevolando la crescita di specifiche specie, concedendo alle piante un tempo maggiore per la produzione di polline. Lo scorso anno uno studio ha affermato che nel Nord America la stagione della fioritura risultava essere già più avanzata di 20 giorni rispetto al 1990. Ma dal recente studio il polline è emesso in quantità ancora più alte, superando il 21%. Inoltre, la preoccupazione riguarda anche le emissioni di CO2, che aumenta la fotosintesi, e l’inquinamento che nell’aria influisce con i pollini, andando a renderli più adeguati nell’entrare in profondità nei polmoni.