Dozzine di virus sconosciuti negli animali selvatici consumati in Cina

Tra le specie analizzate nello studio ci sono zibetti, cani procione, tassi e istrici.

Sono decine i virus scoperti da un team internazionale di ricercatori in alcuni animali selvatici, consumati in Cina e varie aree dell’Asia. Lo studio, pubblicato il 16 febbraio scorso sulla rivista Cell, sottolinea ancora una volta la pericolosità della commercializzazione del consumo di determinate specie animali. È noto che i mercati di animali vivi causano focolai virali, come nel caso della Sindrome Respiratoria Acuta Grave (SARS) circa venti anni fa e dello stesso Covid-19 che secondo gli ultimi studi potrebbe essere stato trasmesso agli esseri umani attraverso pipistrelli infetti consumati in Cina. “Gli esseri umani devono capire che per un virus, diverse specie di mammiferi possono sembrare abbastanza simili, se dotato di recettori appropriati“, spiega William Hanage, biologo evoluzionista dell’Università di Harvard (USA). I ricercatori, guidati dal veterinario Su Shuo dell’Università di Agraria di Nanchino in Cina, hanno prelevato campioni da quasi 2.000 animali di 18 specie diverse, la maggior parte delle quali sono considerate delle vere e proprie prelibatezze in Cina.

Dozzine di virus sconosciuti negli animali selvatici consumati in Cina

Gli scienziati hanno quindi analizzato i campioni per le trascrizioni di RNA che i virus producono quando si copiano, identificando 102 specie di virus provenienti da 13 diverse famiglie virali nel naso, nelle feci e nei tessuti degli animali. La cosa più allarmante dei risultati è che ben 65 dei virus non erano mai stati descritti prima ed almeno 21 sono classificati come “ad alto rischio” per l’uomo, o perché hanno infettato persone in passato o perché hanno una storia di salti. Sebbene nessuno dei virus trovati sia strettamente correlato al coronavirus che ha innescato la pandemia di covid-19, i risultati dello studio rappresentano un chiaro avvertimento che esistono altre minacce virali nel regno animale. “I nostri risultati forniscono informazioni importanti su quegli animali e sui loro virus che potrebbero portare alla prossima pandemia”, conclude Su. Sebbene la Cina abbia adottato misure drastiche contro la vendita degli animali analizzati nello studio dall’inizio della pandemia, altri paesi della regione non hanno ancora adottato provvedimenti in merito.