La scienza, se utilizzata a fin di bene, può dar vita a dei veri e propri miracoli. Tra questi rientrano sicuramente la cura di malattie rare o altamente debilitanti come per esempio i tumori che si è dimostrato possono essere curati (anche se non sempre con risultati aspettati) e garantire quindi una vita dignitosa a chi purtroppo lo ha affrontato. Esistono però altri problemi a cui la scienza, finora, è riuscita soltanto vagamente a risolvere, parliamo di chi sfortunatamente non ha un arto a causa di malformazioni, incidenti, malattie (tipo il diabete che porta poi alle amputazioni provocate da un danneggiamento dei tessuti causato dall’eccesso di zuccheri nel corpo umano), traumi, anomalie genetiche, cadute, guerre ed eccetera.
A tentare di aiutare chi purtroppo ha perso un arto ci sono protesi, neuroprotesi (che funzionano tramite gli impulsi cerebrali) e protesi meccanoelettriche. Questi aiuti sicuramente possono essere utili, ma comunque sono artificiali e quindi non si tratta di arti veri. In tal caso la scienza ha tentato in vari modi di arrivare ad una sorta di “rigenerazione” degli arti tramite stimolazione elettrica, biomateriali che cercano di manipolare i tessuti e quindi farli rigenerare, trapianti di cellule progenitrici chiamate anche cellule staminali (ovvero quelle cellule semplici, primitive e di base che riescono a trasformarsi in vari tipi di cellule più complesse) e up-regolazioni dei processi molecolari di base per velocizzarli e quindi stimolare la rigenerazione. Tutte queste tecniche hanno però dato risultati non tanto soddisfacenti, dato anche dal fatto che si investe poco in questo settore.
Ma una speranza è arrivata di recente con un nuovo, impressionante ed incredibile studio che ha letteralmente rigenerato gli arti di alcune rane.
Nuove speranze per la rigenerazione degli arti
Questo nuovo impressionante studio è stato condotto dalla statunitense Tufts University e l’istituto di ricerca biologica statunitense Wyss Institute di Harvard.
Vi ricordiamo che la Tufts University ha svolto e sta svolgendo tuttora dei ruoli importantissimi anche nella messa a punto degli Xenobot, i robort biologici viventi; quindi si parla di un’Università che è un’eccellenza mondiale e altamente futuristica, tecnologica ed avanzata.
Per quanto riguarda la rigenerazione degli arti, i ricercatori hanno utilizzato delle rane della specie Xenopus laevis, chiamata anche Xenopo liscio, che è endemica (ovvero presente soltanto in un determinato luogo) dell’Africa australe, vale a dire la parte Sud di quel continente. È curioso sapere che queste stesse rane sono utilizzate anche per la realizzazione degli Xenobot; ecco da dove deriva il nome di questi futuristici robot viventi. La loro scelta è data dal fatto che riescono in parte a simulare gli arti dei mammiferi ed anche per la loro facilità di studio.
Questa è un’immagine davvero simpatica di una rana Xenopo liscio (fonte):
Nelle sperimentazioni sulla rigenerazione degli arti, gli scienziati hanno dapprima amputato degli arti a queste rane e, dopo aver stabilizzato le condizioni di salute di esse, hanno letteralmente avvolto l’arto amputato con un bioreattore. Sembra un vero e proprio parolone, ma questo bioreattore è relativamente semplice, si tratta infatti di un tappo in silicone realizzato tramite una stampante in 3D al cui interno è presente un idrogel formato da delle particelle di seta imbevute in un miscuglio di sostanze chimiche e farmaci, che sono:
– Acidi carbossilici;
– Neurotrofine prese dal cervello delle rane Xenopo liscio; si tratta di una famiglia di proteine a basso peso molecolare che determinano la nascita, il funzionamento e la sopravvivenza dei neuroni;
– Ormone della crescita;
– Acido retinoico; si tratta di una sostanza che serve per la crescita, lo sviluppo e la rigenerazione, è infatti di vitale importanza per lo sviluppo degli embrioni nelle sue prime fasi, inoltre viene utilizzato anche in cosmetica per trattare le rughe ed altri problemi alla pelle; è un derivato (più precisamente un metabolita) della Vitamina A, generato appunto proprio dalla metabolizzazione di quest’ultima per questo motivo il termine metabolita, un processo che può essere anche di sintesi;
– Resolvina D5; si tratta di un antinfiammatorio originato anch’esso come un metabolita dalla metabolizzazione dell’acido grasso acido docosaesaenoico.
Questo insieme di ingredienti, farmaci e sostanze chimiche permette innanzitutto di calmare l’infiammazione, di non iniziare il naturale processo di cicatrizzazione inibendo quindi la produzione del collagene e quindi collateralmente permettere la rigenerazione dell’arto.
Dopo il trattamento con quel bioreattore per ben 24 ore, sotto l’attenta visualizzazione clinica degli esperti, nei successivi 18 mesi l’arto amputato è ricresciuto!!! Inoltre è da specificare che non è soltanto una ricostruzione “arronzata”, ma è in tutto e per tutto un arto funzionante, anche a livello sensoriale, del sistema circolatorio, del sistema nervoso, dei tessuti, delle ossa, dei muscoli, dei tendini, della pelle ed eccetera. È talmente ben riuscita questa sperimentazione che le rane in questione sono riuscite tranquillamente di nuovo a nuotare e a svolgere la vita di sempre come se non ci fosse stata alcuna amputazione; non è presente nemmeno la cicatrice.
Ecco un’immagine che mostra il processo di realizzazione di questo strabiliante studio (fonte):
Come si nota dall’immagine si capisce che l’unico “difetto” che andrebbe migliorato è la rigenerazione delle ossa delle dita e degli arti distali, quindi la parte terminale di un arto, chiamati anche appendici; anche gli arti principali sono chiamati appendici di un corpo. Infatti la loro rigenerazione non è completa o al massimo è parziale; ma ciò non costituisce un problema rilevante per le rane perché riescono ugualmente a nuotare grazie alla forza dei muscoli che sono di per sé abbastanza solidi. Così facendo le rane, come accennato prima, sono ritornate ad una vita tranquilla come se non fosse avvenuta alcuna amputazione.
La rigenerazione degli arti e la natura
Quella della rigenerazione degli arti non è un qualcosa di sconosciuto, infatti ciò avviene spesso in natura. Anzitutto questa capacità è propria anche degli stessi Xenopo lisci, infatti durante la fase di Girino (ovvero la fase larvale delle rane, caratterizzate da una somiglianza con i pesci, quindi anche da delle branchie per respirare sott’acqua, da un corpo tondeggiante e da una lunga coda) può rigenerare i suoi arti.
Tale caratteristica però viene perduta nella fase di Adulto; il passaggio da girino ad adulto avviene con una metamorfosi (ovvero trasformazioni biologiche drastiche che avvengono in alcuni esseri viventi) in cui i girini abbandonano le branchie e sviluppano dei polmoni per respirare fuori dall’acqua, ma non solo; infatti si generano anche delle zampe e tutte quelle varie modifiche per permettere la vita sulla terraferma. È curioso sapere che anche la stessa pelle delle rane permette loro di migliorare la respirazione. Però, nonostante tutte queste modifiche, gli Anfibi adulti non abbandonano completamente l’acqua, seppur possono tranquillamente respirare ossigeno gassoso, ma preferiscono un Habit paludoso, umido e fangoso. La presenza degli Anfibi si espande in tutto il Mondo. Le rane fanno infatti parte della Classe degli animali vertebrati chiamati Anfibi (quegli animali che hanno una fase della vita in acqua e le altre sulla terraferma, spesso e volentieri nei pressi dell’acqua, proprio come i girini e quindi le rane) e dell’Ordine degli Anuri, quest’ultimo termine è il nome scientifico delle rane.
Gli altri animali noti in grado di autorigenerarsi sono le lucertole (in particolare con le loro code), le salamandre (che sono anche capaci di rigenerare degli organi vitali come il cervello ed il cuore), i vermi piatti, ovvero i vermi caratterizzati proprio da una forma appiattita e non cilindrica come per esempio i vermi Anellidi caratterizzati esattamente da dei segmeti, gli assolotti (la versione acquatica delle salamandre) ed altri.
Ecco un affascinante video della rigenerazione animale (fonte):
Anche noi umani abbiamo delle capacità di autorigenerazione, ma soltanto a livello cellulare; mentre a livello più ampio è il nostro fegato, infatti potrebbe rigenerarsi anche se viene eliminato circa il 50% del proprio volume. Invece, per quanto riguarda gli arti, non siamo in grado di autorigenerarli, ma col recente studio sulle rane Xenopo liscio si è realizzata una nuova, solida, e valida speranza.
La rigenerazione è però tuttora un processo misterioso, enigmatico, affascinante e poco conosciuto e sicuramente gli scienziati dovranno capire di più
Conclusioni
In conclusione va detto che gli studi sulla rigenerazione degli arti devono andare avanti, infatti tra i prossimi compiti degli scienziati che hanno rigenerato gli arti di queste rane rientra quello di utilizzare la stessa tecnica o una tecnica simile e migliorata su alcuni mammiferi. Se tutto andrà bene si potrà inizializzare l’utilizzo di questa tecnica miracolosa anche sugli umani e quindi aiutare chi malauguratamente non possiede un arto o degli arti. Per arrivare a ciò c’è l’urgente bisogno, ovviamente, di ulteriori e tantissimi studi. Gli scienziati dello studio pensano di utilizzare anche dei trigger bioelettrici, quindi dei circuiti elettrici di piccolissime dimensioni che funzionano con gli impulsi elettrici prodotti dalle cellule, per migliorare l’esito di un simile intervento. Non è escluso nemmeno un utilizzo di questa tecnica rigenerativa coadiuvata dagli Xenobot. Questa pratica andrebbe migliorata, vi ricordo che il bioreattore si chiama Bio Dome, anche prendendo in considerazione moltissime variabili, come per esempio genetica, chirurgia, mutazioni genetiche, eventuali rigetti, infezioni ed altro; col giusto impegno però si può fare parecchio e dar vita a dei veri e proprio miracoli.
C’è da dire che chi ha subito un’amputazione dovrebbe ricevere questa cura subito ed immediatamente entro le 24 ore dal ferimento per massimizzare il suo successo. Chi invece ha subito un’amputazione da più tempo può ricevere lo stesso trattamento praticando delle incisioni a livello chirurgico sull’arto amputato da rigenerare. La cosa importante, hanno spiegano gli scienziati, è di utilizzare dei bioreattori che mantengono la parte amputata in un ambiente umido simil amniotico, quindi che replica le condizioni del biofluido amniotico, ovvero un siero trasparente (le così chiamate acque del parto) presente nella cavità amniotica durante la gravidanza; tale fluido serve a proteggere il feto, i tessuti della madre dai movimenti del feto, è un isolante termico e permette la corretta formazione del nascituro; quindi sarebbe perfetto per la rigenerazione degli arti. Ovviamente un’eventuale crescita dell’arto umano rigenerato va ampiamente seguita, passo passo, dai medici.
Ciò che rende spettacolare questa tecnica davvero al pari di un miracolo è che rende la Fantascienza una vera realtà ed unisce le capacità scientifiche, biologiche, biotecnologiche, di bioingegneria, microtecnologiche, nanotecnologiche, elettroniche, tecnologiche umane con la forza stessa della natura. Infatti si dà modo alle cellule e quindi alla natura di poter rigenerare un arto con un insieme di sostanze e di tecniche mediche. La Speranza è che tutto ciò possa andare avanti e raggiungere risultanti sorprendenti non solo a favore di chi purtroppo soffre ma anche per dimostrare che la Scienza, se utilizzata con Coscienza, fa davvero molto bene.