Il ‘passaggio’ tra materia inanimata e ”forme di vita” è avvenuto in un arco di tempo di circa 400 milioni di anni.
Lo studio dell’origine della vita è un campo affascinante e complesso e, per lungo tempo, ha turbato gli scienziati non solo per pura curiosità intellettuale, ma per comprendere le proprie origini. Uno dei primi ad affrontare questo problema fu il filosofo Aristotele e lo risolse attraverso la sua teoria della generazione spontanea, secondo la quale la vita è generata dalla materia inerte. Questa teoria fu smentita solo nel diciannovesimo secolo dallo scienziato francese Louis Pasteur. Si pensa che la Terra si sia formata esattamente nello stesso periodo del sistema solare, ormai circa 4,5 miliardi di anni fa, e che per lungo tempo sia stato oggetto di un continuo bombardamento di meteoriti, che insieme all’elevata attività geologica, provocarono pressioni e temperature altissime, tali da rendere impossibile lo sviluppo di forme di vita. Lo scenario iniziò a cambiare circa 3,9 miliardi di anni fa, quando sul nostro pianeta apparve un’idrosfera stabile. In questa massa liquida apparvero molecole disciolte, frammenti minerali e rocce, nonché bolle generate dai gas espulsi dai vulcani sottomarini. Circa quattro milioni di anni dopo esistevano già diverse specie cellulari che iniziarono a “relazionarsi” tra loro in modo molto arcaico. Ma cosa ha consentito ad un pianeta inospitale e senza vita a essere popolato da esseri viventi?
Per cercare di rispondere a questa domanda, a metà del secolo scorso, lo scienziato americano Stanley L Miller (1930-2007) effettuò un esperimento con i componenti dell’atmosfera primordiale terrestre (ammoniaca, idrogeno, metano e vapore acqueo). Con la partecipazione di scariche elettriche che in qualche modo simulavano l’approvvigionamento energetico che esisteva prima della comparsa della vita, erano in grado di reagire e produrre composti organici. In altre parole, Stanley L Miller ha dimostrato che era possibile generare molecole biologiche di base da semplici composti chimici. Negli anni Ottanta è stato dimostrato ed accettato che tutti gli esseri viventi provengano da un unico antenato comune che è stato battezzato LUCA – acronimo in inglese di “the only universal common ancestor” – e che visse circa 3.500 milioni di anni fa svolgendo tutte le attività di base di un essere vivente. LUCA era un essere vivente unicellulare, senza nucleo, con una membrana plasmatica lipidica e un genoma del DNA. Si stima che potrebbe avere circa 600 geni e che da esso si siano formati batteri, archaea ed equarioti. Fu a questo punto che sorse una nuova domanda: qual è stato l’atto intermedio tra la chimica prebiotica e LUCA? Sappiamo che le proteine sono codificate nel DNA e che, a sua volta, la replicazione del DNA non può avvenire senza la partecipazione di proteine con attività ‘DNA polimerasi‘. In qualche modo, questo abbinamento rappresenta il paradosso della gallina e dell’uovo a livello molecolare, essendo impossibile sapere se la prima cosa a fare la sua comparsa nel teatro della vita fosse il DNA o le proteine. Molto probabilmente non era né l’uno né l’altro, il primo attore a comparire sulla scena doveva essere l’RNA. La spiegazione va cercata in quanto è l’unica macromolecola con sufficiente versatilità per funzionare come genotipo e fenotipo. L’RNA è molto più di una molecola intermedia nel flusso dell’informazione genetica come si credeva da tempo, poiché è in grado di svolgere le funzioni del DNA e delle proteine. Tra la chimica prebiotica e LUCA c’era quello che oggi è conosciuto come il “mondo a RNA“, cioè protocellule con ribozimi, acidi grassi nelle loro membrane e un genoma di RNA. Nonostante tutte le conoscenze che oggi abbiamo sull’origine della vita, ci sono ancora molte questioni da risolvere. Ad esempio, se l’RNA è una molecola molto suscettibile all’idrolisi, allora come è possibile che si sia formato su un pianeta “traboccante” di acqua?