I reperti mostrano riferimenti visivi e culturali condivisi in una vasta area dell’Eurasia, sollevando nuovi elementi sulle dinamiche sociali e sulla diffusione dei motivi iconografici nel bacino del Mediterraneo durante il Paleolitico.
Un gruppo di ricerca multidisciplinare dell’Università di Cambridge ha scoperto, sulle coste adriatiche della Puglia, una notevole serie di incisioni paleolitiche scolpite all’interno di una grotta durante l’età della pietra, risalenti a circa 14.000 anni fa. Secondo lo studio, pubblicato sulla rivista Antiquity, la prima prova di arte rupestre rinvenuta nella cosiddetta grotta Romanelli è stata registrata nel 1905. Tuttavia, da quando il team ha iniziato i suoi scavi nel 2016, sono state scoperte una serie “rare” di incisioni che suggeriscono un motivo geometrico, oltre ad alcune forme zoomorfe, principalmente di bovidi e uccelli, motivi appartenenti ad una tradizione artistica che si estendeva dalla penisola iberica alla Francia, ma fino ad oggi sconosciuta in territorio italiano. Dall’analisi dei pezzi rinvenuti, i ricercatori sono riusciti ad identificare un bovide con la testa e il dorso ricoperto di linee parallele e le corna rivolte in avanti, oltre a una rara rappresentazione di un uccello, probabilmente un’alca gigante; un pinguino oggi estinto.
“La figura dell’alca è un soggetto molto raro nell’arte paleolitica“, ha spiegato al medium ARTnews Dario Sigari, coautore dello studio. Durante le indagini, gli scienziati hanno scoperto diversi profili di scanalatura nelle 31 unità grafiche analizzate, un fatto che suggerisce l’uso di almeno quattro diversi strumenti e tecniche di incisione. Inoltre, hanno trovato segni di un pigmento naturale noto come latte di luna applicato sulla roccia direttamente con le dita. Le date ottenute durante la datazione al radiocarbonio suggeriscono che la grotta sia stata abitata per diversi millenni, tra i 14.000 e gli 11.000 anni fa, periodo durante il quale è stato realizzato “un palinsesto grafico che registra diversi episodi artistici che provano l’esistenza di un comune patrimonio visivo in una vasta area dell’Eurasia durante il tardo Paleolitico superiore”. Queste somiglianze, concludono gli accademici, aprono “nuovi interrogativi sulle dinamiche sociali e sulla diffusione di motivi iconografici comuni nel bacino del Mediterraneo”.