Un team di ricercatori spagnoli è impegnato, attraverso l’ingegneria genetica, alla creazione di esemplari che crescano rapidamente e riescano a garantire la legna alle popolazioni dell’area.
Le carovane tuareg che attraversavano il deserto del Sahara per commerciare il sale di Bilma adoravano l’albero di Teneré, l’unico che trovarono nel loro viaggio di oltre cinquecento chilometri. Era un albero sacro, rispettato da tutti e uno dei pochi punti di riferimento nella monotonia nel paesaggio delle dune sahariane. In effetti, l’albero di Teneré era il più isolato e solitario del mondo oltre a rappresentare l’ultima traccia di un passato, risalente a cinquemilacinquecento anni fa, durante il quale un’esuberante coltre di vegetazione ricopriva gran parte di quello che oggi è il deserto del Sahara. Poi si è verificata una delle oscillazioni climatiche che, in maniera del tutto naturale, si hanno periodicamente ogni decine di migliaia di anni: la radiazione solare è cambiata, il che ha alterato la forza del monsone e ha indotto una grande siccità nella zona. Ma il cambiamento della radiazione solare non spiega, di per sé, l’estensione attuale del deserto del Sahara. C’è stato un altro fattore che ha amplificato la siccità: i cambiamenti nella vegetazione. La pioggia nell’entroterra monsonico richiede alla vegetazione di riciclare l’acqua piovana e restituirla all’atmosfera. In questo modo può ri-precipitare acqua che, senza alberi, andrebbe persa. In altre parole, gli ecosistemi sahariani cinque millenni fa sono entrati in una spirale catastrofica in cui un cambiamento nella radiazione solare ha avuto un impatto negativo sulle precipitazioni, riducendo la copertura vegetale. Man mano che si perdeva parte della vegetazione, le precipitazioni diminuivano ancora di più, il che esacerbava la diminuzione della vegetazione fino all’attuale desertificazione. Ecco perché per i 500 milioni di persone che vivono ai margini dei deserti (soprattutto in Africa, ma anche in alcune parti dell’Asia centrale), è fondamentale piantare alberi e garantirne la sopravvivenza: senza di loro non c’è acqua. A tal fine sono stati avviati diversi programmi di riforestazione su larga scala, sia in Africa che in Asia. Ma le comunità rurali che vivono ai margini del deserto hanno bisogno di alberi per la pioggia, ma anche di legna da ardere per cucinare e, se possibile, per fornire cibo al bestiame. E questo è un equilibrio critico, poiché la necessità di legna da ardere in ambienti desertici può favorire la deforestazione, motivo per cui sono necessari alberi a crescita rapida. Almeno, con tassi di crescita superiori a quelli di sottrazione. Come si ottengono alberi che crescono in un deserto estremo allo stesso tempo forniscono legna da ardere e risorse alla popolazione locale? Gli alberi a crescita rapida, ad esempio, lo fanno a scapito della generazione di legno che, a sua volta, è poco resistente alla siccità.
Per questo motivo, il gruppo di ricerca, ha sviluppato alberi transgenici che riducono al minimo questo tipo di ”compromesso evolutivo”. Nello specifico, gli esperti si sono concentrati su due specie di pioppo: Populus euphratica e Populus tomentosa. P. euphratica è un pioppo molto resistente alla siccità e alla salinità comune nei deserti dell’Asia, mentre P. tomentosa è una specie a crescita molto rapida. Il lavoro degli esperti è consistito nell’inserire in P. tomentosa uno dei geni responsabili della grande resistenza alla siccità in P. euphratica. Il gene introdotto è un promotore dei brassinosteroidi: un ormone che favorisce la crescita e la sopravvivenza in condizioni di stress. Questa nuova linea di pioppi non è ancora pronta per essere utilizzata nelle piantagioni, ma il progetto è in fase avanzata. Nel prossimo futuro troveremo un numero crescente di progetti che propongono l’introduzione di alberi transgenici a scopo di restauro. Negli Stati Uniti, ad esempio, il Dipartimento dell’Agricoltura sta attualmente valutando la possibilità di piantare castagni transgenici nelle foreste dove che una malattia fungina ne decimò il numero. Nell’immaginario collettivo, i raccolti OGM vengono visti con sospetto, nonostante i benefici ambientali che sarebbero in grado di portare come la drastica diminuzione dell’uso dei pesticidi. Chissà se la possibile riduzione del deserto del Sahara sarà sufficiente ad fargli cambiare idea.
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