La luna di Saturno presenta, ai poli, crateri vulcanici, segno di un’attività esplosiva recente o addirittura attuale.
Ancora oggi i dati della sonda Cassini della Nasa rappresentano una fonte inesauribile di conoscenza sul pianeta Saturno, sugli anelli e i sui satelliti naturali. Lanciata nel 1997, la sonda ha registrato informazioni per ben venti anni intorno al gigante gassoso, inviando un’incredibile quantità di dati. Attraverso i dati radar Charles Wood del Planetary Science Institute di Tucson e Jani Radebaugh della Brigham Young University gli studiosi hanno ora analizzato la superficie di Titano, la più grande luna di Saturno. I risultati, pubblicati sul “Journal of Geophysical Research”, hanno mostrato qualcosa di inaspettato: la presenza di attività vulcanica ai poli di Titano passata o, probabilmente, anche attuale. Le tracce del vulcanismo di Titano, dichiara l’Istituto Nazionale di Astrofisica in un comunicato, sono di natura geomorfologica. In pratica la superficie appare collassata in diverse aree. Sono presenti, inoltre, alti rilievi, delle isole ed aloni nei vari laghi di metano presenti sulla superficie del polo nord della luna.
Altre formazioni simili, ma inferiori di numero e meno estese, vengono osservate anche al polo sud. Si tratta di crateri la cui formazione è dovuta ad eruzioni esplosive e conseguente collasso della superficie. Il fenomeno provoca la formazione di caldere e dei cosiddetti maar, due tipiche strutture depresse prodotte dal vulcanismo e che spesso si riempiono di laghi. L’elemento che ha più entusiasmato della scoperta è che i crateri sembrano essere relativamente recenti, fattore che indicherebbe dei fenomeni di vulcanismo recente, o contemporaneo. La presenza di vulcani su Titano rappresenterebbe solo l’ultima delle scoperte effettuate dagli esperti grazie ai dati di Cassini. Uno scenario inaspettato a rivelato, negli anni scorsi, la sonda della NASA con la presenza di dune di sabbia, laghi e valli fluviali; il tutto modellato dall’azione dell’atmosfera sulla superficie.“Ci sono prove su come il calore interno si manifesti sulla superficie attraverso i criovulcani, il risultato della fusione del ghiaccio d’acqua crostale in acqua liquida che erutta dalla superficie – dichiara Wood. “Si tratta di strutture vagamente circolari, con alti bordi, e spesso sovrapposti”.