Il vulcano dei Campi Flegrei si ”classifica” dopo lo Yellowstone e il Lago Toba.
Se la pericolosità del Vesuvio è riconosciuta, per gli eventi relativamente recenti che hanno caratterizzato il vulcano e per i tanti comuni assiepati sulle falde e lungo il percorso passato della lava e delle nubi piroclastiche, i Campi Flegrei rappresentano un pericolo sottovalutato. Eppure, come spiegano gli esperti, il supervulcano campano rappresenta uno dei peggiori vulcani al mondo, anche più pericolosi del Pinatubo, del Krakatoa, del Tambora, del Kilauea, del Monte Pelee o del colossale monte Saint Elen, responsabili delle peggiori catastrofi recenti e nella storia passata. A differenza di questi vulcani, infatti, i Campi Flegrei rientrano nella categoria dei supervulcani, strutture la cui eruzioni sono in grado di modificare il paesaggio per chilometri condizionando il clima mondiale per diversi anni. Al mondo sono solo tre i vulcani in grado di produrre ricadute di questo tipo: lo Yellowstone negli Stati Uniti, il Lago Toba in Indonesia ed, appunto, i Campi Flegrei in Italia.
Sono davvero rare le eruzioni che hanno visto protagonista il supervulcano a nord di Napoli. La prima risale a circa 40mila anni fa e produsse un’espulsione di materiale vulcanico compresa tra i 200 ed i 250 chilometri; una quantità difficile solo da immaginare. La seconda, la cosiddetta eruzione del Tufo Giallo Napoletano, avvenne tra i 15mila anni fa e produsse una 40 chilometri cubi di materiale. L’ultimo ”sussulto” eruttivo dei Campi Flegrei risale al 1538 quando si generò il cosiddetto ”Monte Nuovo”, con un’eruzione che spazzò tutto in un raggio di alcuni chilometri. Da allora il silenzio assoluto, o quasi. Negli anni 80 l’area fu oggetto di un pesante sollevamento, il cosiddetto bradisismo, con circa 500 scosse al giorno. Ma quali sono le possibilità che i Campi Flegrei eruttino nei prossimi cento anni? Secondo le stime non superano l’1%. Rapportata all’elevatissimo grado di pericolosità del vulcano, si tratta di una percentuale di cui tenere conto e che ha spinto anche gli scienziati ad abbandonare i carotaggi nell’area, per paura di ”risposte impreviste” dalla caldera.