Una dose pericolosa di radiazioni è stata rilevata in un forno crematorio dell’Arizona, dopo che un uomo curato con radiofarmaci, è stato sottoposto a cremazione.
L’impatto della cremazione sugli operatori che la realizzano può avere ricadute del tutto impreviste. Il tema è vivacemente discusso negli Usa dove, ormai, l’incinerazione ha raggiunto livelli record e dopo che il corpo di un uomo cremato ha rilasciato radiazioni pericolose. In pratica il paziente, deceduto cinque giorni prima per un raro tumore al pancreas, era stato trattato con un radiofarmaco, il lutezio-177, che ha la funzione di distruggere le cellule tumorali. Il sessantanovenne è comunque deceduto due giorni al trattamento ed è stato trasportato all’impresa funebre a cui era stato indicata la volontà dell’uomo di essere cremato, ma non la recente ”cura radioattiva”. La cremazione, avvenuta alcuni giorni dopo, ha provocato la contaminazione radioattiva dell’intero forno. Gli addetti sono stati analizzati dagli esperti, senza però scoprire tracce di lutezio-177, ma di altre tracce di radiofarmaci, il tacnezio, forse proveniente da altri deceduti, cremati nei giorni precedenti.
Appena gli esperti americani hanno scoperto il caso, hanno chiesto all’Arizona Bureau of Radiation Control se esistesse un tipo di regolamentazione per le cremazioni delle persone curate da radiofarmaci, scoprendone l’inesistenza. Nonostante i dati abbiano sostanzialmente ridotto l’entità del caso, il tema è stato proposto anche sulle pagine del Journal of the American Medical Association. Gli esperti hanno sottolineato, in particolare, come siano necessari ulteriori ricerche per valutare la portata della contaminazione da radiazioni e delle ricadute sulla salute degli operatori dei forni crematori, delle esposizioni prolungate e ripetute alle radiazioni.