Da sempre gli edifici degli antichi Romani stupiscono per l’incredibile capacità di resistere al trascorrere dei millenni. Una solidità che, in alcuni casi, fa impallidire le costruzioni realizzate in tempi più recenti. Uno studio, pubblicato sulle pagine di American Mineralogist, ha fatto luce sui ”segreti” delle costruzioni in epoca classica scoprendo particolari interessanti da prendere come spunto per migliorare le funzionalità e l’impatto ambientale del cemento moderno. Attraverso uno studio a raggi X gli esperti del Berkeley National Laboratory hanno studiato un antico molo ed un argine di ad Orbetello, in Toscana. Analizzando il cemento a microscopio, gli studiosi hanno individuato la presenza di cristalli di tobermorite di alluminio, una sostanza minerale particolarmente difficile da creare ed in grado di rinforzare l’intero composto.
Si tratta del prodotto del contatto tra l’acqua di mare, le ceneri vulcaniche e la calce viva; una sostanza che dà origine alla celebre pozzolanica chiamata così in onore della città di Pozzuoli. Questo minerale si compone di micro fibre in grado di rendere il composto estremamente resistente alle pressioni ed alle spaccature. Le differenze con il materiale utilizzato oggi sono davvero tante: il cemento attuale, ad esempio, è formato calcare, arenaria, cenere, gesso, ferro e argilla e si presenta come chimicamente inerte, non essendo in grado di creare legami chimici che possano aumentarne la resistenza.