Piante carnivore: nel Dna le ‘armi’ per lo sviluppo delle proteine ‘cannibali’

Come si sono evolute nei secoli le piante carnivore? I ricercatori dell’università di Buffalo, guidati da Victor Albert, sono riusciti a comprendere meglio i passaggi evolutivi dell’Utricularia,  genere di piante carnivore appartenente alla famiglia Lentibulariaceae e comprendente 215 specie diverse, in grado di uccidere e ‘digerire’ le proteine degli insetti catturati. Per scoprirlo gli esperti hanno analizzato la mappa del Dna della pianta, sfruttando nuove tecniche di bioinformatica e sono riusciti a trovare nuove informazioni in merito ai geni che, in una manciata di millisecondi, consentono alle carnivore di immobilizzare le prede per poi iniziare a nutrirsene. Come raccontato sulla rivista dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti, Pnas, è stato di fatto migliorato quanto realizzato nel 2013 dallo stesso team, quando venne sequenziato il genoma dell’Utricularia, pianta che vive in luoghi umidi e ‘bagnati’ come stagni e paludi e che rappresenta il risultato di una storia evolutiva durata milioni di anni, nel corso dei quali è stato conservato ed aumentato il materiale genetico relativo alla sua natura carnivora, diventando sempre più precisa nel riuscire ad intrappolare gli insetti ma anche digerirne le proteine.

piante carnivore utricularia

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Albert ha sottolineato che “grazie alla bioinformatica abbiamo identificato i geni che si sono conservati, arricchendo la specie”. Il gruppo di ricerca ha generato sequenze del Dna di Utricularia 40 volte più lunghe di quelle disponibili fino a poco tempo fa, andando così ad identificare frammenti di materiale genetico che accidentalmente si sono duplicati l’uno vicino all’altro. Ed è proprio tra queste sequenze ripetute che i ricercatori hanno individuato i geni che portano allo sviluppo di proteine in grado di masticare altre proteine, ma anche di quei geni che ne guidano il traspoto da una cellula all’altra. E’ emerso che entrambe le tipologie di geni sono attivi sia nelle trappole di aspirazione che nell’attività di digestione. Proprio queste duplicazioni potrebbero, secondo il team di lavoro, aver permesso alla pianta di adattarsi allo stile di vita carnivoro.