Ce lo insegnano fin da piccoli, con la filastrocca da imparare a memoria per ricordare di quanti giorni siano fatti i mesi: di ventotto ce n’è uno, febbraio…non sempre, però! Qualche volta sulla pagina del calendario sono segnati ventinove giorni: significa che si è in un anno bisestile, anno fortunato per alcune culture e carico di sventure per altre e che in ogni caso nasconde segreti e curiosità tutte da scoprire.
A partire dalle ragioni che rendono indispensabile questa aggiunta di un giorno nella conta dei tradizionali trecentosessantacinque giorni dell’anno. Tutto nasce da un problema di misurazione: i sistemi per la misura del tempo, infatti, specie i più antichi, erano imperfetti – per quanto mirabili nello sforzo compiuto per comprendere la variabile tempo. Quando si dice che un anno dura trecentosessantacinque giorni si intende dire che la terra compie un movimento di rivoluzione completa intorno al Sole nello tempo in cui compie anche trecentosessantacinque rotazioni su se stessa…o quasi! La durata effettiva di un anno, infatti, sarebbe di trecentosessantacinque giorni e un quarto, cioè trecentosessantacinque giorni e sei ore: ecco perché, per recuperare le sei ore perse ogni anno, serve aggiungere un giorno in più ogni quattro. Il calcolo, in realtà, è reso più complesso dal fatto che secondo il calendario in voga nella maggior parte dei Paesi, quello gregoriano, il tempo impiegato dalla Terra per fare un giro completo intorno al Sole è di qualche decimale in meno rispetto persino alla conta dei trecentosessantacinque giorni e sei ore (nello specifico la terra impiegherebbe 365,2425 giorni. I sistemi correttivi adottati, così, sono stati tanti e diversi. Nel classico calendario gregoriano, per esempio, non erano considerati bisestili gli anni secolari il cui numero non fosse divisibile per quattrocento (non lo è stato il 1900, per esempio, ma lo è stato il 2000). Oggi invece c’è un’autorità, la International Earth Rotation and Reference Systems Service che può decidere di aggiungere o togliere un secondo al UCT, il Tempo Coordinato Universale.
Un giorno in più ogni quattro anni, insomma, ma perché l’anno bisestile ha questo nome? Nel calendario romano il giorno in più non era il 29 febbraio, bensì un giorno aggiunto dopo il 24 dello stesso mese che prendeva il nome di bis sexto die: nel sistema romano, infatti, il 24 febbraio era il sesto giorno prima delle Calende di marzo, il giorno in più che si aggiungeva ogni quattro anni era di conseguenza un sesto giorno bis da cui, appunto anno bisestile. Vale la pena ricordare, però, che nei Paesi anglofoni ci si riferisce comunemente a esso come “leap year”, cioè “anno del salto”: se negli anni normali, infatti, i giorni della settimana risultano sfalsati di uno rispetto al precedente, in quello bisestile lo sono di due.
Anno bisesto anno funesto, recita infine il detto: gli anni da ventinove giorni sarebbero infatti più sfortunati per l’economia e la vita sociale di un Paese. Non tutti sanno, però, che è in questi anni che leggenda vuole le donne possano chiedere la mano dell’uomo che amano il 29 febbraio senza timore di essere rifiutate: questo avrebbe, infatti, dovere di accettare.