Lo scorso 14 settembre 2015 l’essere umano ha potuto scrivere una storia importante per il futuro: la Ligo (acronimo di Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory) che è un osservatorio di Hanford negli Usa, in quel giorno registrò un dato anomalo. Ma è solo l’11 febbraio 2016 che a Pisa venne ufficializzata la scoperta delle onde gravitazionali, dopo aver effettuato tutte le verifiche e gli accertamenti del caso. Da questa scoperta si è chiaramente aperta una finestra del tutto nuova sull’universo, permettendo così a scienza e fisica di poter dare l’inizio di un nuovo modo per studiare tutto ciò che ci circonda, compresi i buchi neri e anche il tessuto spazio-tempo.
Un risultato scientifico che ha importanza globale, ma per questo non si può certo pensare che la ricerca sia già arrivata al termine trovando quindi un punto di fine. Possiamo infatti parlare dell’inizio di una vera e propria rivoluzione all’interno del mondo della fisica: fino ad oggi infatti si è potuto studiare la natura andando esclusivamente ad osservare i fotoni, quindi la luce, integrando poi i neutrini cosmologici. Ma da questo momento vi è anche la chiave data dalle onde gravitazionali, che permetteranno quindi di avvicinarsi a nuovi strumenti di analisi. Tra questi vi è anche la possibilità, per esempio, di poter viaggiare nel tempo per mezzo dei tunnel prodotti dai buchi neri, che fino a poco tempo fa non erano altro che una teoria. I ricercatori però hanno potuto registrare proprio la fusione di due buchi neri in uno solo, così di confermare la realtà nella scoperta.
E intanto emerge un’ulteriore teoria: un nuovo studio infatti spiega che le onde gravitazionali potrebbero essere tracce della materia oscura. A dirlo è stato un gruppo di fisici guidato dal premio Nobel Adam Riess. Quest’ultimo infatti pensa che le onde non possano essere generate da buchi neri che possono essere definiti “ordinari”, ma bensì da strutture nate dalla materia oscura e quindi non dalla conseguenza di un collasso gravitazionale di stelle. Si parla infatti di buchi neri “primitivi” che sarebbero stati comuni in un passato remoto dell’Universo, in un momento in cui l’intera struttura era più densa rispetto a quanto conosciamo oggi. Gli autori dello studio hanno poi sottolineato che questi buchi neri non possono essere equamente distribuiti nelle galassie, ma vengono riscontrati in luoghi in cui la materia oscura è presente in modo deciso, in quelli che sono già stati definiti veri e propri “aloni galattici”. Prima di confermare il tutto però sarà importante effettuare ulteriori studi e analisi.
Una delle più recenti scoperte in ambito astronomico invece è stata quella del pianeta Kepler 452b, pianeta “cugino” della Terra con caratteristiche molto simili al nostro pianeta.