Attenti a quello che dite o fate su Facebook, ma anche attenti a quel che mostrate! In un mondo in cui se non fai vedere agli altri quello che stai facendo non conti nulla, andando spesso incontro a furiose liti risolvibili solo in questo modo, non potevano mancare discussioni e casi relativi ai datori di lavoro che controllano l’operato dei dipendenti sui social network, facebook in primis. Stando ad un recentissimo caso gestito dalla corte di cassazione, se un datore di lavoro monitora i post e gli spostamenti di un suo dipendente, non è più intercettazione.
La sentenza che coinvolge le utenze su Facebook è la 10955, a causa di un operaio che ha evitato di curarsi di una lamiera rimasta incastrata sotto una pressa per chattare on-line, danneggiando la catena di montaggio. Il datore di lavoro, certo già da tempo che il suo dipendente trascurava il lavoro per chattare, ha creato un profilo femminile per adescarlo, dimostrando così l’idanempienza sul posto di lavoro. Ne è nato un caso, il datore è stato accusato di violazione della privacy, o intercettazione illecita, ma la Corte di Cassazione ha deciso che l’episodio di pedinamento informatico su Facebook non è un reato, se dimostrabile e se lo scopo è quello di controllare dipendenti.
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Il caso su Facebook ha fatto si che il dipendente fosse nel torto ed il datore di lavoro nel giusto, e la vicenda si è tradotta in un licenziamento, sebbene il datore abbia usato Facebook per incastrare il responsabile, anche se in modo apparentemente illecito. La corte di cassazione invece ha optato per il contrario. “Nella presumibile consapevolezza del lavoratore di poter essere localizzato attraverso il sistema di rilevazione satellitare del suo cellulare”, afferma la corte di cassazione anche in merito alle reti GPS.