Bambini senza freni: disturbo da deficit di attenzione – iperattività

Impulsività, iperattività, disattenzione e oppositività sono i sintomi cardine che caratterizzano i soggetti ai quali viene diagnosticato il “disturbo da deficit di attenzione/iperattività”, noto anche con l’acronimo italiano DDAI o l’anglofono ADHD. Il Dr. Luca Di Venanzio, Psicologo a Pescara, sottolinea come la definizione deve essere considerata solo come una cornice diagnostica che delimita un quadro generale tratteggiato da alcune problematiche principali alle quali se ne affiancano altre, di tipo secondario.

Fu G.F.Still a identificare i sintomi di questo disturbo pubblicando agli inizi del ‘900 alcune osservazioni su un gruppo di bambini. Questi ultimi erano stati ritenuti “ipercinetici, irrefrenabili” e – in sintesi – affetti da una “turba neuropsichiatrica organica”.
Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività non è necessariamente una caratteristica negativa: gli scienziati sostengono che sono stati proprio questi soggetti, iperattivi e instancabili, a garantire la sopravvivenza della specie umana. Tremila anni fa, infatti, per trascinare le masse verso aree terrestri più idonee era indispensabile essere decisi e impulsivi: tutte “doti” oggi riscontrate nei soggetti con ADHD.
La società moderna, però, non è più capace di accogliere nel proprio modello di vita quei soggetti dalle caratteristiche, di impulsività e sfrenatezza, volute e selezionate dalla natura.

Il ventaglio sintomatologico non è univoco per tutti i soggetti ma si manifesta in quantità e qualità variabile andando a influire nell’interazione tra l’ambiente e il bambino con ADHD. Quest’ultimo incontra dei disagi non soltanto con gli insegnanti e i coetanei ma anche con i genitori e può manifestare difficoltà legate all’apprendimento, emotività, relazioni interpersonali e incolumità fisica.
Le caratteristiche cliniche del disturbo, inoltre, portano il bambino a sviluppare una costruzione del sé incapace o “cattiva” ed è proprio questa percezione che ostacola il personale percorso di apprendimento e si traduce in insuccesso scolastico.

Molto spesso la famiglia viene lasciata sola a gestire il problema e il bambino viene etichettato, con troppa superficialità, come “pigro” o “poco educato”. Quello che manca in Italia è il supporto professionale che aiuti la famiglia a gestire quella che è da considerarsi come una vera e propria patologia. Il contesto sociale extra-familiare, invece, troppo spesso non comprende il disturbo (o non ha le capacità per risolverlo) provocando un aggravamento della situazione.
Definire il bambino semplicemente come “problematico” e metterlo in disparte, non è un’opzione da prendere in considerazione: quel che bisogna fare, invece, è intervenire immediatamente con una diagnosi accurata e preventiva che coinvolga il bambino, i genitori e gli insegnanti.

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Bambini senza freni: disturbo da deficit di attenzione – iperattività

Uno degli interventi terapeutici (da applicare in contemporanea ad altri) suggeriti dalla psicologo di Pescara, dimostrato scientificamente da numerose ricerche, è orientato al “parent training”. Si tratta, in sintesi, di un programma individualizzato che mira a insegnare ai genitori come interagire con il proprio figlio attraverso l’attuazione di metodi basati sulla psicologia cognitivo-comportamentale.

I genitori, con un approccio di tipo multi-modale affiancato da “rinforzi” e punizioni”, impareranno a gestire i sintomi provocati dal ADHD. L’obiettivo è quello di ridurre gli atteggiamenti negativi e aumentare quelli positivi. Alle strategie di gestione del comportamento verranno affiancate quelle cognitive per aiutare i genitori a spiegare al mondo esterno (compresi gli insegnanti) i comportamenti del proprio figlio. Il parent training, in tal modo, lavorerà sulle attribuzioni cognitive messe in atto dagli adulti anche in modo inconsapevole.
Se i genitori impareranno a gestire le proprie frustrazioni e usare correttamente le autoistruzioni verbali e le tecniche di problem solving (risoluzione dei problemi) si potrà affermare di aver compiuto un buon lavoro di parent training.